san paolo
Brasile, Lula condannato in appello a 12 anni e un mese: è ineleggibile
L’ex presidente-operaio è stato condannato a 12 anni e un mese di reclusione dalla Corte di appello di Porto Alegre e, in base alla legge d’iniziativa popolare denominata «Ficha limpia» (Fedina Pulita), non potrà pertanto concorrere alle elezioni presidenziali
Appena
eletto quindici anni fa, il brasiliano Lula fece il primo dei suoi
molti gesti simbolici. Andò velocemente a benedire i suoi no global
riuniti a Porto Alegre e poi si infilò una giacca e volò a Davos, per
spiegare ai ricchi del mondo la nuova sinistra sudamericana arrivata al
potere. Strana coincidenza: in questi giorni la capitale del sud del
Brasile — già città simbolo e avamposto di quella esperienza — è
diventata sinonimo della sua probabile fine politica.
È arrivata una pesante condanna, in secondo grado, per Luiz Inácio Lula da Silva,
presidente dal 2003 al 2010. Corruzione e riciclaggio, per aver
accettato in regalo da una impresa di costruzioni un appartamento al
mare, più le migliorie, in cambio di assegnazioni di commesse. Dodici
anni di prigione, con la richiesta che la pena diventi esecutiva non
appena si esauriscano i possibili ricorsi. Negli ultimi anni la
giustizia in Brasile non ha fatto sconti a nessuno; dunque immaginare a
breve dietro le sbarre anche il suo leader politico famoso nel mondo non
è impossibile.
Quello di Porto Alegre, che si è svolto ieri, è il processo più simbolico della interminabile inchiesta
Lava Jato, la Mani Pulite locale, già tre anni e mezzo di indagini che
hanno travolto l’intera classe politica. Al Tribunale di questa città
sono assegnati d’ufficio i ricorsi delle sentenze di primo grado prese
dal pool di Curitiba. Ieri mezzo Brasile si è fermato per assistere
all’evento in una lunga diretta tv, e in migliaia sono scesi in strada. A
favore o contro l’illustre imputato. Non si tratta soltanto di una
divergenza di opinioni sul suo operato. Per milioni di fedelissimi Lula è
tutto fuorché un vecchio ex nella polvere. Recenti sondaggi gli
assegnano attorno al 35 per cento delle preferenze di voto alle
presidenziali del prossimo ottobre, e lui ovviamente vorrebbe
concorrere. È convinto che nelle urne riuscirebbe a far dimenticare
tutto: il pessimo governo della sua pupilla Dilma Rousseff, la
recessione economica, le dimostrate pratiche di corruzione e di uso del
denaro pubblico per finanziare le campagne elettorali.
Per milioni di poveri, soprattutto nel nordest del Brasilie, Lula è tuttora il padre dei programmi sociali
e di una epoca felice di consumi. Quando lasciò la presidenza alla
Rousseff, la sua popolarità toccava l’83 per cento. Dalla sua ci sono
anche i dubbi risultati dell’attuale capo di Stato Michel Temer, che la
sinistra chiama golpista per aver organizzato l’impeachment della
«presidenta». Le sue misure liberali, su previdenza e lavoro, sono
largamente impopolari.Il processo dell’appartamento-tangente è però
decisivo. Secondo la legge, un condannato in secondo grado non può
concorrere a cariche elettive. La sentenza di ieri è netta e
inequivocabile (tre giudici su tre hanno votato per la conferma della
condanna in primo grado), ma Lula spera ancora in una serie di cavilli e
ricorsi che gli consentano di arrivare all’iscrizione nelle liste
elettorali prima della esecuzione della sentenza. «Solo una cosa mi
potrà togliere dalle strade di questo Paese, dalla lotta per la dignità
della mia gente: la mia morte», ha gridato ancora da un palco poche ore
prima della sentenza. Ora gli basterebbe evitare almeno la vergogna di
finire in galera, come avvenne per pochi giorni durante la dittatura
militare.
24 gennaio 2018 (modifica il 24 gennaio 2018 | 22:23)
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